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Castello di Albano |
La visita ai ruderi del castello di Albano, pochi muri sbrecciati e i
resti di una torre quadrata che s’intravedono alle spalle del santuario
di Monte Albano e si distinguono con difficoltà dai muretti di
contenimento di campagna, riserva aspetti piacevoli per l’amenità del
luogo e per il panorama che si gode sulla valle dell’Adige e quella del
Cameras.
I ruderi sorgono sulle estreme propaggini del monte Biaena, su un dosso
che sovrasta l’abitato di Mori e sono facilmente raggiungibili
attraverso una suggestiva mulattiera che sale dalla borgata e si snoda
fra orti, campi terrazzati e macchie di pini fino a giungere alla radura
cosparsa di grandi massi di frana.
I ruderi rivelano una costruzione articolata, dai muri alti, con poche
aperture. Le tre cortine di cinta, visibili fra la vegetazione e i massi
di frana, erano interrotte da torrette quadrangolari di cui rimangono le
fondazioni. All’interno della cinta murata è possibile individuare il
mastio quadrato e la cisterna.
Un’apertura rimessa in luce nella cinta ad est, grazie ad una corrente
d’aria costante, serviva agli eremiti che custodivano il santuario di
Monte Albano come refrigeratore per le derrate deperibili.
Posto alla confluenza della valle dell’Adige con la valletta di Loppio,
dove passava la via che risaliva dal lago di Garda, il castello doveva
la sua importanza alla posizione di controllo e di vedetta, importanza
aumentata quando il maniero nella seconda metà del Duecento entrò a far
parte delle possessioni dei Castelbarco diventando la sede di una linea
della famiglia, quella di Castelbarco-Albano. L’ultimo rappresentante
della famiglia, Ottone, morto nel 1414, abbellì la residenza
circondandola di orti e giardini e il suo testamento costituisce una
preziosa fonte per ricostruire l’aspetto dei castelli trentini del Medio
Evo.
Il piccolo maniero era circondato da giardino, orti, vigne di moscato e
frutteto ed era provvisto di granaio, fienile, stalla -con due buoi e
quattro cavalli- pollaio e un locale per la muda di sparvieri
indispensabili alla caccia. La residenza vera e propria era a due piani:
in basso cantine e avvolti, al pianterreno la sala dei conviti con il
caminetto, la “camera picta” riservata agli ospiti, la loggia, un
magazzino, la dispensa e la cucina con il forno, al piano superiore le
stanze del signore.
L’arredo era limitato a panche e tavoli, tre cofani dipinti, due grandi
armadi, sei letti, alcuni piccoli forzieri e un solo quadro, di
argomento sacro, nell’ingresso. Il lusso si concentrava nelle vesti di
fustagno e di velluto, foderate di seta e di pelliccia, nelle cinture di
cuoio e d’argento, nei servizi da tavola, dei quali facevano parte
posate, tazze d’argento, piatti di peltro, bottiglie e bicchieri in
prezioso vetro e infine nelle armi, sparse in tutti i locali: spade,
elementi di armatura, tra i quali una celata d’acciaio guarnita in
argento, archi e balestre, cassette di frecce, faretre...
Nel 1439, i Castelbarco vennero in urto con Venezia, ormai saldamente
installata nella Val Lagarina. La reazione veneziana non si fece
attendere e fu particolarmente dura, in essa incappò anche il castello
di Albano, che fu preso, saccheggiato e ridotto per sempre allo stato di
rudere. Il castello di Nomesino seguì la stessa sorte.
Il castello fu utilizzato dagli austriaci nel 1914-18 come postazione e
vi furono scavate delle trincee, tuttora visibili.
Le caverne che si aprono nella rupe soprastante i ruderi, chiamate Bus
del Barbaza, costituirebbero, secondo la tradizione popolare, l’ingresso
di un lungo sotterraneo che collegava il castello con palazzo Salvotti,
a Mori, sotterraneo custodito dal Barbaz, figura mostruosa messa a
guardia del tesoro che vi sarebbe stato nascosto.
Ruderi del Castello di Albano e santurario di Monte Albano
Per saperne di più
G. GEROLA, Inventario di un castello Castrobarcense del XV secolo, in “Tridentum”,
1906
A. GORFER, I castelli del Trentino, 1967
G. M. TABARELLI – F. CONTI, Castelli del Trentino, 1974.
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