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Cenni sulla storia di Mori |
Il nome di Mori definiva in origine, come quelli di
Brentonico o di Gardumo, una pieve o comunità composta da alcune "ville"
o abitati, che avevano nelle diverse epoche gradi diversi di integrazione o di
autonomia reciproca. La pieve di Mori si estendeva un tempo su un territorio
certamente più vasto dell'attuale parrochia e comprendeva i paesi di Castione,
Chizzola e forse in antico Ala. Dal secolo sedicesimo si intese per Mori sia il
Vicariato, che corrispondeva all'incirca alla parrocchia, che il nucleo centrale
di Mori, il quale venne chiamato “Mori borgata” per le caratteristiche
economiche e sociali della popolazione. Il nucleo centrale di Mori si sviluppò
attorno alla piazza del Zochel, sottostante l’acropoli di Monte Albano, dall’unione
degli abitati di Lambel, Villanuova con il Gheto, Gerole; quest’ultimo si
prolungava verso il Cameras e la chiesa di S.Stefano; troviamo quindi Mori
Vecchio o Binde, Tierno (S.Agnese, S.Michele, Nardigna), Molina con Seghe Prime
e Seghe Seconde o Ultime; troviamo infine Ravazzone, Besagno (Besagno, Lughel,
Visnà) e Sano.
Il territorio di Mori è stato abitato ininterrottamente dal
neolitico e dall’epoca romana, come testimoniano gli abbondantissimi reperti
archeologici. L’importanza di Mori era dovuta soprattutto alla posizione
geografica lungo il fiume Adige, sulla strada per il Lago di Garda. La chiesa
dell'antica pieve, eretta "ab immemorabili", è dedicata al
protomartire S.Stefano e forse in origine era compresa nella diocesi di Verona;
in un placito dell'845 riguardante le proprietà del monastero di S.Maria in
Organo di Verona sono per la prima volta citati uomini dei paesi di Mori, Tierno,
Castione, Besagno, Avio, Villa, Lenzima.
Dopo la fondazione del principato
vescovile di Trento troviamo nei documenti sempre più frequentemente Mori, come
nel 1188 quando uomini e donne di Mori, di Lambel e di Besagno vengono investiti
della navigazione sull'Adige fino a Bolzano ed altri vengono investiti del
diritto di riscossione del dazio sull'Adige. Dal tredicesimo secolo la famiglia
di Castelbarco prese il sopravvento sulle altre famiglie signorili di Mori e
così i signori di Palt, di Binde, di Mori e di Gardumo uscirono di scena.
Artefice della potenza castrobarcense fu Guglielmo il Grande che verso la fine
del tredicesimo secolo si impossessò dei castelli e dei feudi nella pieve di
Mori.
Il suo erede Aldrighetto lasciò al figlio Federico i castelli di Gresta
ed Albano. Federico lasciò a sua volta i castelli e giurisdizioni di Albano e
Nomesino ad Armano, da cui origina la linea dei Castelbarco signori di Albano e
di Nomesino. Castel Albano è il castello che domina Mori e la sua giurisdizione
si estendeva su gran parte della comunità. Besagno e forse Tierno, passarono
alla Repubblica Veneta nel 1411 in seguito alla morte ed al testamento di Ettore
di Castelbarco, mentre Castel Albano venne conquistato e demolito da Venezia
solo nel 1440 nel corso della guerra contro Milano.
Nell'anno 1439-40 avvenne il
memorabile trasporto delle galere veneziane dall'Adige al Lago di Garda
attraverso Mori, con risalita dalle Seghe seconde, ed attraverso il piano ed il
Lago di Loppio e successivo passaggio da passo San Giovanni. Durante il dominio
veneziano si costituirono i "Quattro vicariati" di Ala, Avio,
Brentonico e Mori, caratterizzati dalla presenza di un primo grado di giudizio
presso ognuna delle quattro comunità, mentre unico era il grado successivo, con
sede a Brentonico. Sconfitta Venezia, i Quattro vicariati dal 1539 entrarono a
far parte del Principato vescovile di Trento e vennero amministrati per oltre
cento anni dalla famiglia dei principi vescovi Madruzzo.
Dopo l'estinzione della
potente famiglia Madruzzo, il primo giugno 1663 i Castelbarco di Gresta
ritornarono in possesso dei Quattro vicariati e li mantennero fino alla caduta
del feudalesimo. A Mori ci fu un importante mercato sul Zochel dal 1646;
esistevano inoltre da vecchia data le importanti fiere di S.Giuseppe e di
S.Biagio ed un tempo anche quella di S.Antonio, trasferita a Mori
dall'originaria sede presso Loppio.
A Mori era presente una comunità ebraica,
che abitava nel Gheto e praticava l'usura ed il prestito di danaro. Una delle
principali attività economiche dopo l’agricoltura fu la lavorazione artistica
del marmo, che ebbe il maggiore sviluppo nel diciottesimo secolo. Nel luglio
1703 durante la guerra di successione spagnola l'armata francese del duca di
Vendôme invase le nostre valli e stabilì Mori come punto di appoggio delle
operazioni di guerra. Vi apprestò una fonderia di palle di cannone a Molina;
successivamente, prima della ritirata, una parte di Mori venne incendiata. Nel
1774 l'assolutismo illuminato di Maria Teresa regolamentò la scuola
obbligatoria gratuita, ma si ha notizia di una scuola a Mori già nel 1579 e nel
1683. Alla fine del diciottesimo secolo le campagne napoleoniche investirono il
Tirolo e Mori, che venne occupato da forze diverse nel giro di qualche anno,
fino all'annessione alla Baviera con la pace di Presburgo nel 1805.
Nell'aprile
del 1809 Mori venne messa a ferro e fuoco dalle truppe francesi per rappresaglia,
poiché aveva simpatizzato o partecipato alla rivolta di Andreas Hoffer. Nel
febbraio del 1810 venne costituito il Dipartimento dell'Alto Adige, provincia
del nuovo Regno d'Italia e il 24 luglio venne costituito il grande comune di
Mori, unendo i diversi paesi compresi nella parrocchia.
Esso, con i nuovi comuni
di Brentonico, Isera e Pannone costituì il Cantone di Mori. Dopo il ritorno del
governo austriaco, nel mese di luglio 1843 i Castelbarco rinunciarono alle
prerogative feudali ed al Giudizio dinastiale e venne costituito il giudizio
distrettuale di Mori, comprendente Brentonico e la Val di Gresta e dipendente
dal Capitanato Distrettuale di Rovereto. Dopo l’annessione all’Italia la
pretura di Mori venne soppressa ed annessa a quella di Rovereto. Nel
diciannovesimo secolo si sviluppò ulteriormente la bachicoltura e continuò la
produzione vinicola pregiata. La più importante delle produzioni agricole di
questo periodo fu però il tabacco.
Fra il sette e l’ottocento Mori divenne il
più importante centro di produzione di tabacco da fiuto di tutto l'Impero. Il
tabacco era in gran parte esportato nei paesi tedeschi, dove manteneva il nome
delle diverse qualità di Mori. Verso la fine del secolo diciannovesimo vi fu
una generale ripresa dell'economia e Mori ricevette un grande impulso dalla
costruzione della ferrovia Mori-Arco-Riva, inaugurata nel 1891 e rimasta in
funzione fino al 1936, e soprattutto dalla moderna cooperazione. La Cassa Rurale
di Mori venne fondata nel 1897 e contemporaneamente vennero fondate le tre
cooperative di consumo di Tierno, nel 1896, Mori Borgata e Mori Vecchio.
Nel
1906 avvenne l'elettrificazione del comune, usufruendo dell'energia elettrica
della centrale del Ponale. Vi erano molte filande e due filatoi, una conceria,
una segheria, diversi mulini e molte botteghe artigianali e moltissime “masere”
o essiccatoi del tabacco. Allo scoppio della Prima guerra mondiale il 24 maggio
1915 la maggior parte degli abitanti di Mori venne evacuata in Austria a
Mittendorf. L'abitato di Mori divenne prima linea e subì gravi danni; nel 1919
i profughi rientrarono nella borgata e nelle frazioni, che erano quasi
totalmente diroccate.
La ricostruzione fu rapida; si decise di non ricostruire
tuttavia le case distrutte in piazza Cal di Ponte. Nel 1923 Valle San Felice
optò per l'unione con il comune di Mori.
Nel 1971 il comune di Pannone si
disgregò formando il comune di Ronzo-Chienis, mentre gli altri paesi della Val
di Gresta, Varano, Pannone, Manzano e Nomesino, preferirono unirsi anch’essi
al comune di Mori. Il comune catastale di Mori ha una superficie di ettari 1779
mentre l’attuale comune amministrativo, che comprende cinque c.c. di Val di
Gresta, presenta una superficie di ettari 3454. Gli abitanti erano 8138 al
dicembre 1993, dei quali 746 delle frazioni di Val di Gresta senza Loppio; al
17.10.2001 erano 8512.
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